GIANFRANCO BARUCHELLO
UN ALTRO GIORNO UN ALTRO GIORNO UN ALTRO GIORNO
28 novembre 2007 | ore 20.00 | Cinema Nuovo Olimpia | Via in Lucina 16/g, Roma
XII Roma FILMFESTIVAL
Sono presenti: Gianfranco Baruchello, Edoardo Bruno, Bruno Roberti e Angiolo Marroni.
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24 novembre 2007 | ore 18.30 | Filmstudio 80, Via degli Orti d’Alibert 1/c, Roma
Il giorno 24 novembre 2007 alle ore 18.30, presso il Filmstudio 80, in Via degli Orti d’Alibert 1/c, Roma, sarà presentato in prima assoluta il film di Gianfranco Baruchello Un altro giorno un altro giorno un altro giorno, all’interno della rassegna Il video d’autore Made in Italy.
Un altro giorno un altro giorno un altro giorno ( 2007, HDV, colore,
sonoro, 42’) è un lavoro recente di Baruchello: un film sul tempo,
girato nei carceri romani e del Lazio, realizzato attraverso il solo
uso dell’intervista, con argomenti semplici, a partire dalla vita
quotidiana, dalla memoria, dal sogno.
Fin dai primi anni Sessanta Baruchello ha sperimentato l’uso di diversi media, dalla pittura alla scrittura, dall’activity al cinema e al video. I primi film del 1963 Il grado zero del paesaggio e del 1964, lo storico Verifica incerta, costituivano alcune delle prime espressioni del cinema d’artista in Italia. Per Baruchello l’immagine in movimento è stata dunque un campo di sperimentazione importante, che dalla cinepresa lo ha portato all’uso della telecamera e poi all’uso delle tecnologie digitali ad alta definizione.
Dice Baruchello in una recente intervista: “Questo film è stato girato nello scorso inverno 2007 nei carceri romani di Rebibbia femminile, Rebibbia penale maschile, Rebibbia nuovo complesso, e in quello di Civitavecchia nuovo complesso. All’offerta di essere ripresi in volto, hanno aderito quaranta persone tra uomini donne e transessuali. Alcuni degli uomini appartenevano al reparto-infermeria dei malati di AIDS. Uno dei propositi iniziali era stato quello di legare alla parola anche il gesto della o delle mani: di questo è rimasta traccia accanto alle riprese in cui le persone sono ritratte frontalmente. Per il montaggio definitivo solo la metà dei partecipanti è stata inserita con l’intervista mentre gli altri figurano con la sola immagine del volto in una specie di galleria-foto ricordo che chiude il film. Non sono state poste domande su reati, pene, permessi, vicende giudiziarie lasciando invece la libertà di parlare di ogni argomento il soggetto volesse affrontare. Dunque l’abbondante materiale ottenuto superava le ventiquattro ore di durata ed è stato necessariamente condensato nell’essenziale per non superare i tre quarti d’ora di proiezione. Le domande da me poste vertevano sul sogno e sui meccanismi messi in atto per sopportare e sopravvivere alla lentezza del tempo carcerario. L’inizio del film e la struttura anomala degli intervalli tra le interviste sono stati concepiti per far pensare appunto alla insopportabile lentezza del tempo carcerario. La canzone dello zingaro rumeno posta in apertura era stata la sua risposta sonora, non essendo lui in grado di rispondere in italiano alle mie domande. Il film è stato girato con due telecamere HDV, una –la mia– per le riprese frontali, l’altra, del mio assistente, per le riprese delle sole mani. I luoghi delle riprese, sordi o disturbati da rumori e grida non si sono prestati certo per ottenerne registrazioni eccellenti. Il titolo, che ripete tre volte “un altro giorno “ è la frase finale dell’ultima intervista di uno dei malati di AIDS”.
In Un altro giorno un altro giorno un altro giorno il montaggio è usato per costruire un percorso narrativo tra i personaggi. Le singole storie, in tempo reale, raccontano ricordi, pensieri, vita: sofferenza, dolore, desiderio, attesa. La narrazione tuttavia, travalica le singole esperienze, e riguarda invece il tempo nel carcere, attraverso un’articolazione che, tra le parole degli intervistati, di età, genere, paesi diversi, e i brevi inserti di Baruchello, tutti ideati e realizzati per dialogare con quanto detto nelle interviste, produce una escalation emotiva, fino alle parole dell’ultima intervista e alla canzone rom, con cui si chiude il film. Tra le parole, frammenti di storie senza fine, che potrebbero ricominciare a partire da diverse domande, e le clessidre, gli orologi, le oscillazioni di pendoli con cui Baruchello sottolinea le caratteristiche di un tempo lento, sempre uguale, ripetitivo tanto da dissolversi in una immobilità temporale che nel carcere sembra non proceda in alcun senso, il film presenta dunque non soltanto le storie personali di alcuni individui. Attraverso le parole, il tema che viene trattato e considerato è quello del tempo, legato alla vita quotidiana, alle attese e alla consapevolezza straniante (anche da se stessi) di essere in sospeso, senza possibilità di definire un divenire delle proprie azioni, bloccati nell’immobile realtà della condizione di vita nel carcere.
Con mezzi essenziali, senza aver trasferito nei luoghi dove le interviste si sono realizzate, macchine e strumenti cinematografici ingombranti, Baruchello ha voluto che i mezzi tecnici non invadessero lo spazio emotivo, umano, affettivo e intimo degli intervistati. Le storie sono dunque testimonianze in diretta di percorsi di pensiero e esperienza personali. Tuttavia, nella comune riflessione sul tempo, (a tutti sono state rivolte le stesse domande, si sono toccati gli stessi argomenti) il film si presenta come una riflessione a più voci, all’interno della quale la presenza di Baruchello si è inserita per commentare, sottolineare e per, con discrezione, sollecitare il dialogo, il desiderio di parlare e raccontare come nel carcere è pensato e vissuto il tempo.
Il film è stato realizzato con il sostegno del Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni nell’ambito del progetto “Arte e Politica” della Fondazione Baruchello.
Hanno collaborato: Fabio Scacchioli alle riprese, Agnese Trocchi al montaggio